mercoledì 4 febbraio 2009

DANTE, IL DIRITTO PENALE E L'EUROPA

(relazione tenuta dall'Avv. Antonio Salvatore nel 2007 a Ferrara presso la Sala dell’Arengo)

Il mio fortunato reperimento - dopo anni di paziente ricerca - presso una libreria antiquaria di Treviso, della seconda edizione dello scritto dell’Avv. Ciriaco De Antonellis, intitolato “De’ principi di diritto penale che si contengono nella Divina Commedia”, ha costituito l’occasione della stimolante conferenza, tenuta dal Prof. Mario A. Cattaneo, dal titolo “Dante, il diritto penale e l’Europa”.
L’opera, citata nel primo capitolo del volume del Prof. Mario A. Cattaneo, Suggestioni penalistiche in testi letterari”, (“Studi su Dante e il diritto penale”, op. cit., pag. 1 e ss.), è dedicata al problema del diritto penale nella Divina Commedia e nel pensiero di Dante.
La tesi di De Antonellis è che Dante possa esser considerato un precursore degli scrittori che, dopo di lui, hanno contribuito all’incivilimento e ai progressi del diritto penale (circostanza tanto più mirabile laddove si consideri lo stato in cui versava tale legislazione nell’epoca in cui il Poeta viveva) e che la Divina Commedia possa esser considerata una vera e propria fonte del diritto penale, un sistema compiuto di reati e pene e, a suffragio di tale assunto, cita vari luoghi del poema, tra cui spicca il celeberrimo canto del conte Ugolino.
Bisogna ricordare che, ai tempi di Dante, era in vigore (per essere stata recepita nell’opera legislativa di Giustiniano) la Costituzione di Arcadio, che – recependo la teoria della c.d. “corruzione del sangue” - estendeva ai discendenti dei colpevoli di alto tradimento la pena prevista per questi ultimi.
De Antonellis osserva che Dante, nel biasimare – con l’invettiva “Ché se ‘l conte Ugolino aveva voce/d’aver tradita te de le castella,/non dovei tu i figliuoi porre a tal croce./ Innocenti facea l’età novella” Inferno, XXXIII, 85-88) - l’arcivescovo Ruggieri, che aveva voluto estendere la pena prevista per l’alto tradimento anche ai figli del conte, aveva affermato il principio della personalità della pena, che deve colpire unicamente l’autore del reato.
Sempre nell’ottocento, anche il grande criminalista Francesco Carrara (che certamente avrà avuto modo di leggere lo scritto di De Antonellis), nel secondo volume dell’opera “Opuscoli di diritto criminale” (Lucca, 1870, p. 649 e ss.), dedicò un piccolo studio alla figura di Dante “criminalista”, citando l’episodio del conte Ugolino, ma per approdare a conclusioni opposte circa la possibilità di considerare Dante un “precursore”, nel senso sopra precisato, del diritto penale.
Invero Carrara – pur riconoscendo la modernità del pensiero del Poeta e il suo “coraggio” nell’affermare l’innocenza dei figli del conte in un’epoca, la sua, in cui “il diritto penale era cotanto in basso caduto da rendere quasi impossibile la percezione della sua idea in mezzo al fango macchiato di sangue nel quale giaceva miseramente sepolto” (op. cit., p. 651) – esclude di poter ravvisare nella Divina Commedia una fonte del diritto penale, trattandosi in tale opera “non dei rapporti tra l’uomo e l’uomo, ma quelli ben diversi tra l’uomo e Dio” (op. cit. p. 653), rapporti calati non nel “campo giuridico, ma in quello teologico”, “punendosi i semplici vizi” alla stessa stregua “dei più gravi delitti”, “il nudo consiglio all’esecuzione del reato” (cita, a questo proposito, l’episodio di Pier delle Vigne: Inferno, Canto XIII), “la tentata strage paterna quanto il parricidio compiuto, quantunque la più veloce spada del genitore rompendo il petto e l’ombra di quello sciagurato impedisse il nefando delitto” (cita l’episodio di Mordrec, Inferno, Canto XXXII).
Nell’estate degli anni cinquanta del secolo scorso, il saggista e poeta americano – ma inglese per cultura e adozione - Thomas Stearns Eliot affermò, nel corso di una conferenza tenuta a Londra presso l’Istituto Italiano di Cultura, che il debito che lo legava a Dante era “di tipo progressivamente cumulativo”.
Anche il moderno diritto penale e la stessa idea di Europa hanno un debito di tal fatta nei confronti del Sommo Poeta.
Probabilmente, solo i poeti possono consegnarci la chiave per decifrare e far emergere i nessi sotterranei tra le cose e le idee e, infatti, dobbiamo a William Butler Yeats il concetto di “Grande Memoria” e a Borges l’immagine del precursore che, assieme a tutti quelli che sono venuti e verranno dopo di lui, si fa “creatore di un unico e inesauribile libro”, in uno spazio omogeneo, quello letterario, franco dalle leggi del tempo.
Per tornare a Eliot, egli percepì con nitore l’elemento atemporale che scorre, simile a un fiume carsico, nella Divina Commedia, concependo il Poeta alla stregua di un medium che ci porta messaggi dall’aldilà, attingendo ai repertori immaginifici e simbolici del bagaglio collettivo occidentale e richiamandosi a una tradizione intesa come ordine ideale stratificatosi nei secoli in letteratura, ordine all’interno del quale tutte le opere posseggono un’esistenza “simultanea”: il che vale a dire collocarsi fuori dal tempo, se è vero che, per questa via, non è solo il presente che trova la sua guida nel passato, ma è il passato che viene modificato dal presente.
Così come non si può capire l’Inferno senza il Purgatorio e il Paradiso, tutte le idee e le esperienze umane (presenti e passate), allora, sub specie aeternitatis, hanno un ordine che le lega.
In questo senso può darsi una risposta positiva alla domanda – che costituisce il tema del volumetto del De Antonellis - se Dante possa considerarsi un “precursore” del moderno diritto penale: l’opera di Dante, modificando la concezione del passato e quella del futuro, può leggersi prescindendo dalle circostanze storiche in cui ha visto la luce, come un “libro dilatato”, in una parola come un classico.
E sempre in questo senso può darsi risposta positiva all’altra domanda: se possa parlarsi di un Dante europeo.
La risposta ce la dà, ancora una volta, Eliot, quando afferma che “Dante, pur essendo un italiano e un uomo di parte, è prima di tutto un europeo” e che la sua cultura “non era quella di un paese europeo, ma quella dell’Europa”.
Certo che un viaggio europeo nella Divina Commedia comprende varie soste, numerosi soni i personaggi che appartengono alla letteratura cavalleresca, al ciclo bretone, a quello carolingio.
L’Inferno è abitato quasi interamente da personaggi italiani, il Purgatorio allarga l’orizzonte con nomi e esempi che richiamano la carta geografica delle regioni centrali e settentrionali d’Europa e nel Paradiso la presenza di santi di ogni nazionalità ci rende partecipi degli eventi tuttora vivi nei monumenti superstiti delle abbazie, nei conventi, nelle chiese.
Ma Dante ci lancia, dal passato, un monito per il futuro: non l’Europa dell’Euro e delle Banche, ma quella delle persone, delle città, prima ancora di quella delle nazioni con la loro politica di potenza, con le loro divisioni religiose (che insanguinarono l’Europa nel seicento e minacciano di farlo ancora); l’Europa di Parigi, di Bologna, di Londra, di Firenze: la città e non la nazione, a significare unità plurale dell’Europa.
Avv. Antonio Salvatore

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